Oltre venti anni fa a Giove andai a trovare fa con le bambine e i bambini di una quinta elementare una donna che aveva appena compiuto 99 anni. A proposito della festa dei morti ci fece racconti che ci stupirono.
“Prima della guerra – cominciò a narrare – c’era l’usanza tra noi contadini di restare chiusi in casa dopo il tramonto la sera tra l’uno e il due novembre, perché quella era la notte in cui giravano per la campagna i morti. Dopo qualche anno chiedo ai bambini della mia ultima classe di domandare a casa se c’è qualche nonno o bisnonno che ricordi questa storia, ma le loro risposte sono tutte negative, tanto che arrivo a sospettare che quel racconto lontano sia frutto di un mio sogno. Poi, un giorno, arriva in classe Tommaso tutto felice dicendo che questa storia dei morti in giro per la campagna suo nonno Roberto se la ricorda.
Decidiamo di andare a trovarlo e il giovedì successivo, in poco meno di mezz’ora, raggiungiamo a piedi la casa del nonno di Tommaso, che vive nella campagna che scende verso la valle del Tevere.
Scegliamo un luogo che sia bene illuminato e cominciamo la nostra intervista. Seduto di fronte a un vecchio trattore, nonno Roberto comincia a raccontare: «I genitori miei, i nonni maggiormente, che erano più anziani, dicevano che la sera dei morti era la serata loro, quella notte dovevano uscire i morti e basta. Io avevo paura e allora, magari, la sera non uscivo. Dal tramonto alla mattina era la serata loro, la nottata dei morti. Sarà vero, non sarà vero, potrebbe essere una cosa pure bella. Poi non ci abbiamo creduto più… ma alla sera magari, se uscivo che era appena notte, mi guardavo intorno pensando: Ci sarà qualcosa? Chi ci sarà?».
Dopo averlo ascoltato, tornando a casa, rifletto che il racconto di nonno Roberto è di grande interesse dal punto di vista antropologico, perché narra la frattura che segna la fine di un mondo durato millenni. Un mondo caratterizzato da grande povertà, in cui la fatica e la fame erano sempre presenti, capace tuttavia di elaborare un immaginario di relazioni con la terra, il cosmo e i cicli della vita e i propri parenti e antenati ricco e complesso, ormai del tutto perduto.
Ci ha raccontato infatti che sua madre già non credeva più alle suggestioni tramandate da antenati lontani, mentre sua zia teneva assai che la sera dell’uno novembre fosse lasciata apparecchiata la tavola con piatti ricchi di cibo per i morti, che certo sarebbero tornati per una notte nella loro casa.
Roberto ha narrato, tra lo stupore dei bambini, che lui piccolino da sotto al tavoloascoltava la diatriba tra sorelle e non sapeva da che parte stare. Ma per prudenza, come tutti i contadini del tempo, per molti anni ha rinunciato a uscire quella notte, perché i morti avevano diritto a ritornare a rivedere in pace i luoghi in cui aveva-no vissuto, senza essere disturbati dalle ansie dei vivi.
Poi nel dopoguerra, con l’arrivo della luce elettrica nella campagna, la presenza di queste ombre familiari s’è rapidamente dissolta.
Intorno al tema della relazione con i morti e gli antenati sarebbe interessante recuperare memorie del passato e, al tempo stesso, confrontare diverse tradizioni di diverse latitudini, a partire da quella, singolarissima e straordinaria, del Messico. Inoltre, in classi abitate di bambini le cui famiglie hanno diverse provenienze, potrebbe essere bello confrontare memorie e tradizioni diverse, visto che il tema riguarda davvero tutte e tutti.
Parte di questo articolo è tratto dal libro “I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento” (Sellerio 2019)