“Maestra, è stato molto bello fare la staffetta di scrittura collettiva perché ogni volta che tu ci leggevi un capitolo era come se fossimo in tanti ad ascoltare”
Mi piace iniziare questo mio intervento sul valore della scrittura collettiva con questa frase pronunciata da Martina quando frequentava la classe seconda.
Martina, insieme a circa 150 bambini della sua età che frequentavano le classi 2° delle Scuole primarie di quattro istituti della provincia di Terni, ha partecipato ad una staffetta di scrittura in cui si è arrivati a scrivere due libri al termine di un progetto di scrittura collettiva. In quell’anno, con un gruppo di docenti, abbiamo pensato che il modo migliore per ricordare il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani fosse promuovere una staffetta di scrittura che ha coinvolto 12 paesi della nostra provincia.
Abbiamo chiesto a Fabrizio Silei e Bruno Tognolini di donarci un loro incipit per la scrittura di due libri. Gli abbiamo chiesto di ispirarsi alla Dichiarazione universale in modo che la scrittura del testo offrisse ai bambini l’opportunità di riflettere sul tema dei diritti umani.
Nessuno di noi insegnanti sapeva, prima di iniziare il lavoro, quale diritto avesse ispirato i due scrittori, e abbiamo deciso che lo avremmo scoperto insieme con i bambini man mano che la storia si andava costruendo.
La scelta di realizzare una staffetta di scrittura collettiva per ricordare la Dichiarazione universale dei diritti umani nasce dalla constatazione che quella Dichiarazione, come la nostra Costituzione, è un testo collettivo generato da un lavoro comune e dall’impegno di molte persone che hanno cercato di armonizzare idee, valori e principi in un unico testo, in cui tutti potessero sentirsi rappresentati.
Anche noi, con i nostri alunni, eravamo chiamati a lavorare insieme cercando di arrivare a un testo che non fosse solo la somma dei diversi capitoli scritti da diverse classi, ma riuscisse a rendere l’idea di un’operazione di adattamento del proprio pensiero a quello dei compagni vicini e dei compagni lontani.
Scrivendo un libro insieme abbiamo vissuto la difficile ma interessante esperienza di accordare il nostro immaginario con quello degli altri, sopportando anche le piccole o grandi frustrazioni che questo processo lungo e articolato poteva provocare.
Inizio con il racconto di questa esperienza perché la sfida che abbiamo deciso di affrontare era ardua. Si trattava di realizzare un libro collettivo, frutto di tante scritture collettive realizzate nelle diverse classi. Si trattava di imparare, prima noi insegnanti e poi i nostri alunni, a collaborare e ad armonizzare il nostro pensiero a quello degli altri, a trovare modi e forme per farli stare insieme nel rispetto di ognuno. Siamo stati tutti, alunni e docenti, chiamati a un grande lavoro di cooperazione che si svolgeva a più livelli.
Un lavoro che necessita una lunga preparazione
Pratico la scrittura collettiva in classe da molti anni, ma ho pensato di raccontarvi questa esperienza perché per la prima volta ne ho visti gli effetti positivi anche in bambine e bambini, colleghe e colleghi per i quali non era un’attività abituale.
Scrivere un testo collettivamente necessita di un grande lavoro sia dal punto di vista educativo che da quello strettamente legato alla didattica della disciplina. Spesso a scuola si chiede a bambini e ragazzi di scrivere per essere corretti; si presenta l’attività della scrittura come un momento assolutamente individuale in cui ognuno è solo di fronte al foglio bianco e sa che quello che scriverà verrà letto, corretto e valutato. Scrivo per la maestra e la maestra mi risponde correggendo il mio testo.
La scrittura collettiva invece pone un gruppo di bambini di fronte a un tema: ci si confronta, si prova insieme a risolvere problemi, ci si autocorregge e si capisce che l’errore non è un male terribile di cui avere paura.
Comincio a proporre la scrittura collettiva dai primi mesi della prima, introducendola quando i bambini ancora non hanno imparato a scrivere.
Quando li accolgo nei loro primi giorni nella primaria cerco sempre di giocare sul fatto che forse tutti, a nostro modo, sappiamo già scrivere. Inviato i bambini a fare dei disegni e a scrivere accanto delle semplici frasi che li descrivono. Per tranquillizzare le bambine e i bambini più paurosi dico che ognuno di noi scrive come crede e facciamo il gioco delle tante lingue. Ognuno ha la propria: Marco scrive in marchese, Luca in luchese, Gaia in gaiese…. Quindi sarà la maestra a tradurre i loro scritti nella lingua conosciuta da tutti.
Conservo disegni e scritti tradotti in un raccoglitore che teniamo nella nostra biblioteca in classe in modo che tutti possano vederli quando vogliono. A volte insieme proviamo a metterli uno accanto all’altro e, leggendo la mia traduzione, proviamo a vedere se dalla frase e dal disegno di ognuno possiamo costruire una storia…. La prima storia scritta insieme.
I bambini acquisiscono sicurezza e si sentono liberi di sperimentare con lettere e parole senza aver paura di sbagliare. Cominciano ad assaporare il piacere di giocare con la lingua mentre imparano a usarla. Non è difficile comprendere quanto questa attività sia di aiuto per quei bambini che si sentono in difficoltà. E’ importante per tutti e, in modo particolare per i più fragili, sentire di avere uno spazio di espressione libero in cui l’errore non è considerato tale, ma viene visto come uno stadio intermedio che lentamente porterà ad una padronanza maggiore nell’utilizzo della lingua scritta.
Altro aspetto da non sottovalutare sta nella cura nel raccogliere ogni scritto dei bambini, nel dargli una collocazione che favorisca la condivisione. Il messaggio è che si scrive per comunicare qualcosa, che ciò che si scrive è importante sia per l’insegnante che per il gruppo dei compagni.
Naturalmente questi esperimenti di scrittura spontanea sono importantissimi per orientare la progettazione degli interventi che organizzerò nella classe.
Ferreiro e Teberosky attribuiscono grande importanza alla scrittura spontanea, quella che il bambino fa in completa autonomia senza l’aiuto dell’adulto perché fornisce importanti informazioni rispetto a diversi aspetti: se un bambino si riferisce alla veste sonora di una parola, se conosce la corrispondenza fonografica, come viene direzionata la scrittura, come ciascuno orienta le lettere.
“Bisogna lasciare che il bambino scriva… seppure in un sistema diverso… non perché si inventi un suo proprio sistema idiosincratico, ma perché possa scoprire che il suo sistema non è il nostro e perché possa individuare ragioni valide per sostituire le proprie ipotesi personali con le nostre.” (La costruzione della lingua scritta” di E. Ferreiro, A. Teberosky)
Ho una storia in testa e la detto alla maestra
Un altro momento importante nell’educazione linguistica che sperimento da anni riguarda le storie dettate. I bambini sanno che c’è un’ora in cui la maestra è disponibile a scrivere le storie che loro intendono dettargli. I bambini si prenotano ed io scrivo. Il tutto avviene nell’angolo della classe predisposto per questa attività. Di solito il tutto viene raccolto in un piccolo raccoglitore in cui nella prima pagina scriviamo: “Ho una storia in testa e la detto alla maestra”.
Da alcuni anni, nella Scuola Primaria di Giove dove lavoro, con le colleghe stiamo sperimentando una variante della attività descritta: invece di dettare la storia alla maestra la si detta ad un compagno di una classe superiore. Di solito si sceglie un giorno e un ora della settimana, si fa un elenco preciso dei nomi dei bambini coinvolti e nell’angolo della classe predisposto per questa attività il bambini della classe 1° detta la storia ad un compagno di 3°, 4° o 5°.
E’ bellissimo vedere insieme i bambini al lavoro, il più piccolo che si sforza a formulare frasi, il più grande che lo aiuta chiedendogli se vuole mettere un punto, se ha bisogno di aiuto per trovare una parola. E’ un’attività utilissima per i più piccoli, che si approcciano alla scrittura e alla lettura, perché consente loro di ragionare sulla struttura della frase, ma anche per i più grandi, che hanno modo di riflettere su come nasce un testo e sulle difficoltà che ciascuno incontra.
Quando devi dettare una frase devi prima formularla con attenzione, cercando di essere comprensibile e chi scrive deve comunque stare attento all’ortografia. Inoltre è un modo per raccogliere e non perdere le tante storie e idee che popolano la mente dei più piccoli. La varietà delle attività proposte per l’avvio dell’educazione linguistica nei bambini seguono il principio della differenziazione didattica. C’è chi si sente pronto a scrivere le prime parole, chi ancora si sente a disagio, ma ci tiene a raccontare storie e naturalmente tiene a che le sue storie siano trascritte e ascoltate.
Di solito ogni settimana scegliamo una storia su cui lavorare. La trascriviamo in un grande cartellone e intorno a questa storia cominciamo a riconoscere sillabe note e non, che utilizzeremo per i nostri esercizi di approfondimento. Quindi la storia di un bambino diventa materiale per lo studio collettivo.
In tutto il mio lavoro sulla lingua è sempre presente questo passaggio dall’individuale al collettivo, nella convinzione che è importante che i bambini sentano che anche l’apprendimento della strumentalità del leggere e dello scrivere fanno parte della grande impresa collettiva che stiamo compiendo. L’impresa collettiva in cui tutti siamo coinvolti è quella di provare a crescere e imparare insieme.
Quindi da subito cominciamo a lavorare collettivamente sulla lingua. Seguendo gli esempi descritti da Paul Le Boech nel libro “Quando la scuola ci salva” propongo ai bambini i primi giochi di scrittura collettiva. All’inizio cominciamo passandoci un foglio in cui ognuno, leggendo ciò che ha scritto il compagno che lo ha preceduto, scrive una parola. Alla fine del giro prendo il foglio e leggo cosa siamo riusciti a creare. A volte vengono fuori testi di senso compiuto, altre volte dei nonsense che divertono moltissimo i bambini.
Il passo successivo è quello della scrittura di un piccolo testo collettivo in piccoli gruppi. Ogni gruppo ha un incipit, all’interno del gruppo si sceglie il bambino che conta i giri che il foglio di carta fa e di solito ha un piccolo strumento musicale con il quale suona per segnare la fine del giro. Si decide prima quanti giri vanno fatti.
E’ un esercizio molto importante per i bambini che devono tener conto di tanti aspetti che sono il sale della logica nella lingua e li aiutano a riconoscerli quando affrontano la comprensione di un testo. Tenere sempre presente la frase che viene scritta prima vuol dire imparare ad adattarsi al pensiero di un compagno. Non solo adattarsi, ma amalgamarsi, mettersi in sintonia con l’altro, inserirsi.
Nell’inserirmi devo tener presente il tempo del verbo utilizzato, il luogo (lo cambio o mantengo un’unità di luogo?), le ripetizioni, il modo di legare il mio pensiero-frase a quello precedente, l’introduzione di personaggi nuovi o l’approfondimento di quelli che già sono comparsi (come continuare a caratterizzare un personaggio che il mio compagno ha introdotto prima?), l’uso dei pronomi.
Inoltre stimola a stare attenti al giro che sta facendo il gruppo, a capire in che posizione il mio pensiero-frase si colloca rispetto allo svolgimento del racconto (siamo nella fase centrale di sviluppo della vicenda? Siamo verso il finale? Voglio introdurre un flascbach o una piccola sequenza narrativa?).
Succede a volte che, alla fine del giro, dei bambini non siano soddisfatti di come si è conclusa la storia. Si accendono allora delle belle discussioni sui possibili sviluppi, ma quasi sempre prevale la soddisfazione del bel testo realizzato e quindi è facile sopportare la frustrazione di dover rinunciare alla propria idea.
Credo che sia un bell’insegnamento perché lavorare in gruppo richiede uno sforzo di adattabilità al pensiero e al sentire dell’altro che non è facile. Tanto volte, quando sento dire di un bambino che non riesce a collaborare, mi chiedo cosa abbiamo fatto per insegnarglielo.
Le parole e le buone intenzioni servono a poco, occorre creare occasioni concrete in cui sperimentare la soddisfazione di veder realizzati dei prodotti collettivi che hanno una qualità e una bellezza difficili da raggiungere con il lavoro individuale.
Altra strategia per la scrittura collettiva è quella di proporre un tema, ogni bambino scrive su un piccolo pezzetto di carta il proprio pensiero e dall’insieme dei pensieri di ognuno formiamo il testo collettivo che rappresenta tutti.
Oliare, setacciare e raffinare un testo
E’ un’operazione lunghissima che prende molto tempo, ma raramente nella mia esperienza ci sono momenti in cui in classe si approfondiscono in modo così dettagliato le questioni linguistiche. Quando ogni bambino ha scritto il proprio pensiero si leggono e si decide l’ordine cronologico del testo. Poi si passa a una messa a punto in gruppo, che è uno dei momenti più importanti della scrittura collettiva.
Don Milani che ha appreso la tecnica della scrittura collettiva da Mario Lodi, in una lettera indirizzata al maestro di Piadena scrive: “Sesto giorno: Si detta il testo accettato perché ognuno ne abbia una copia davanti. Un intero pomeriggio (5 ore) in cui ognuno annota in margine (s’è scritto su mezza pagina) le proposte di correzioni, tagli, semplificazioni, aggiunte di concetti trascurati, ecc. Ognuno scriveva il testo concordato su mezza pagina in modo che sulla metà di destra libera poteva scrivere le modifiche che poi venivano comunicate per arrivare ad un ulteriore testo comune sul quale si continuava a lavorare”. ( Arte dello scrivere a cura di Cosetta Lodi e Francesco Tonucci)
Quindi i bambini scrivono su mezza pagina non per lasciare spazio alle correzioni della maestra ma per annotare le loro correzioni che vengono condivise.
L’errore non è qualcosa di cui aver paura ma qualcosa che ci aiuta a riflettere un’occasione che fa crescere tutti.
In classe, per rendere concrete le azioni che facciamo nella messa a punto del testo, ho scelto tre momenti che oramai i bambini conoscono bene perché sono rappresentati da tre oggetti.
L’oliatura. Quando è il momento dell’oliatura prendo il bricco di metallo con l’olio e lubrifichiamo il testo in modo che, come dicono i bambini, non scricchiola più. Per lubrificarlo utilizziamo delle parole legame, dei punti e delle virgole.
Poi passiamo alla setacciatura, che viene evocata da un vecchio setaccio in legno, quello che usano le nonne per togliere i grumi alla farina. Setacciare per noi vuol dire togliere quello che è di troppo, le cose che vengono ripetute.
E’ un’operazione delicata perché presuppone un intervento sui piccoli testi scritti da ognuno. Nel rispetto della sensibilità di ognuno, prima di modificare qualcosa scritto da altri si chiede il permesso. Tutti i bambini sanno che il fine del lavoro è la creazione di un testo che non sia la somma degli scritti di ognuno ma qualcosa di migliore, di più bello. Un testo che da soli nessuno di noi sarebbe riuscito a scrivere.
L’ultima operazione che caratterizza la messa a punto del testo e la rifinitura. L’oggetto associato a questa azione è la carta vetrata. Dobbiamo rendere il testo liscio, raffinato come diciamo noi. A volte aggiungiamo un incipit o un finale, altre volte sostituiamo delle parole con dei sinonimi.
Quando questo lungo lavoro di messa a punto è terminato consegno ad ognuno il testo con il compito di rileggerlo con calma. Aspetto almeno un paio di giorni prima di chiedere della lettura e quando tutti sono convinti il testo è completo. Per sancire questo momento ed essere sicura che tutti si riconoscono nel testo procediamo alla firma. E’ un momento importante, i bambini dichiarano di voler formare il testo perché sentono che il proprio pensiero è presente nella collettività.
Mi piace riportare un brano di Bruno Ciari in cui racconta il momento della messa a punto collettiva del testo:
“E’ martedì, giorno in cui, secondo quanto abbiamo stabilito, si leggono i testi liberi che i ragazzi hanno preparato. Il testo di Alfiero sulla lucertola piace moltissimo. Parecchi ragazzi dicono: – Si stampa! Si stampa! – Ve ne sono altri due che piacciono molto e ottengono molti voti, il testo di Giuseppe (si era portato a letto il palloncino di gomma e, nel sonno, è scoppiato) e quello di Mario (fa il venditore di giornalini vecchi e col guadagno li compra nuovi). I tre testi devono essere messi a punto per la pubblicazione. Si accende la discussione.” (Nuove tecniche didattiche di Bruno Ciari)
Il momento della messa a punto nel mio lavoro a scuola sulla lingua è fondamentale. Mi accorgo di quanto i bambini conoscono la lingua che utilizzano, dello stile di ognuno. Mi offre situazioni concrete e piene di senso per affrontare regole e argomenti grammaticali. E’ importante perché ci aiuta a vivere l’errore in modo diverso; se desideriamo che la nostra classe diventi un gruppo in cui si possano esprime e confrontare le fragilità di tutti, dobbiamo rivedere il concetto e il significato che nella scuola viene attribuito all’errore.
Spesso, nella pratica didattica comune, l’errore viene considerato come qualcosa da evitare, che arresta il processo di apprendimento dei nostri alunni, e non un tassello fondamentale che ci aiuta a riflettere e a crescere. Ma se nel luogo per eccellenza deputato all’imparare, un bambino nel suo lavoro di apprendimento avrà paura di sbagliare, come si sentirà libero di mostrare le proprie fragilità?
Altro aspetto che ho notato nella lunga attività di messa punto dei testi collettivi è la motivazione che fa sì che i bambini siano molti attenti e concentrati. E’ facile intuire che se un bambino scrive un testo e la riflessione sul testo si riduce alla semplice correzione dagli errori da parte del docente, la motivazione ad andare a capire cosa ho sbagliato è molto bassa.
Se invece in gruppo dobbiamo lavorare ad un testo collettivo che avrà un suo scopo, può essere pubblicato nel giornale della scuola, può essere spedito a compagni di un’altra scuola con cui siamo in corrispondenza o può diventare un capitolo del libro della staffetta, siamo tutti più attenti e concentrati. Anche perché non è la maestra che corregge, ma è il gruppo che riflette insieme e trova la forma migliore. C’è una corresponsabiltà che è bene praticare a scuola.
Tullio De Mauro in molti suoi scritti parla della necessità di “risvegliare le energie intellettuali necessarie a capire un testo”. La motivazione che sostiene i bambini nella lettura e scrittura dei testi scritti insieme li aiuta sicuramente a trovare tali energie.
Ultima riflessione che mi viene da fare è che spesso, nella produzione di testi collettivi, accade che bambine e bambini che hanno difficoltà di fronte al foglio bianco, durante la messa a punto collettiva siano pronti ad intervenire e a portare contributi importanti. Dobbiamo essere attenti a modificare modalità e tecniche per far sì che il nostro collettivo sia veramente collettivo.
Questo è il compito principale di noi docenti: ricordare sempre che gli strumenti che abbiamo nella nostra cassetta degli attrezzi non vanno utilizzati modo dogmatico, ma in modo creativo. Non siamo al servizio dello strumento ma lo strumento ci sarà utile solo quando e se ci consentirà di trovare modi e tempi per rivolgerci a tutti.
A volte ci sono bambini che nel loro foglietto, invece di scrivere una frase fanno un disegno, poi, nella discussione collettiva, riescono invece a regalare a tutta una speciale ricchezza di idee fornendo contributi originali.
La scrittura collettiva abitua all’ascolto e al rispetto delle opinioni altrui
Questa scoperta fu fatta anni fa da Don Lorenzo Milani, che la racconta in una lettera a Mario Lodi:
“Con questo metodo anche i più sprovveduti e i più timidi si sentiranno a loro agio durante tutto il lavoro. Da nessuno, infatti, è preteso un pensiero completo e strutturato, ma solo l’apporto di idee e proposte parziali (. . .) La scrittura collettiva abitua all’ascolto, al rispetto delle opinioni altrui, a riconoscere vicendevolmente i valori e le capacità nascoste in ciascuno, a ridimensionare se stessi, a saper riconoscere che la propria opinione non sempre è la più giusta, a cercare non l’affermazione personale, ma l’interesse di tutti”. ( Arte dello scrivere a cura di Cosetta Lodi e Francesco Tonucci)
Ho inziato con la frase di una bambina mi piace concludere allo stesso modo. Una alunna di una seconda che si era cimentata nella scrittura collettiva di un capitolo della staffetta di scrittura di cui ho parlato, ha scritto una lettera per dare dei consigli ai compagni che avrebbero dovuto scrivere dopo di lei: “vi consiglio di essere molto concentrati e portare le vostre idee in giro per l’aula”.
Mi sembra bello concludere con questa immagine di bambine e bambini che portano le loro idee in giro per le aule.
Pubblicato in “Non uno di meno” a cura di D. Ianes e H. Demo, Franco Angeli editore