EMMA CASTELNUOVO: INSEGNARE IN PIEDI

di Franco Lorenzoni

Emma Castelnuovo ha vissuto una vita ricchissima e appassionata durata 100 anni ed è stata certamente l’insegnante che più e meglio si è spesa in Italia per portare la scuola attiva dentro la matematica.
Sono stato legato a lei da una profonda amicizia e ne parlo sempre con grande emozione, perché desidero ricordare alcuni profondi rovesciamenti che ha operato nella didattica, da grande maestra qual era.
Emma era figlia di Guido Castelnuovo, uno dei più grandi matematici del ‘900, e nipote di Federigo Enriques, matematico, epistemologo e storico della scienza di grandissima levatura, che ebbe una forte influenza nella sua formazione. Eppure, nonostante queste ascendenze e un’intelligenza fuori dal comune, si tenne sempre lontana dall’Università. Vinse il concorso nel 1938, l’anno in cui in Italia tutti gli ebrei furono cacciati dalla scuola, e assistette in prima persona allo scandalo dei professori che fecero carriera, prendendo il posto dei colleghi espulsi senza troppi scrupoli.

L’ho sentita parlare della vicenda sempre in modo indiretto, nella grande ammirazione che mostrava verso il Belgio e la Libera Università di Bruxelles, l’unica in cui, nell’Europa occupata dai nazisti, l’intero corpo docente si rifiutò di continuare ad insegnare. In qualche occasione Emma ha sostenuto che il declino dell’Università italiana ebbe origine da quell’atto di viltà collettiva. Ciò che è certo è che mantenne sempre una grande diffidenza verso gli accademici del nostro paese, che ricambiarono con una chiusura pressoché totale verso le sue ricerche e le sue scoperte.

Lei, dal canto suo, scelse con coerenza di promuovere la sua rivoluzione didattica sperimentando sempre dal basso, in un trentennale lavoro quotidiano con le ragazze e i ragazzi della scuola media.

LE MOSTRE MATEMATICHE

Unica eccezione fu il suo rapporto di collaborazione con Lucio Lombardo Radice, con cui condivise l’impegno a riformare i programmi della scuola media, divenuta unica nel 1963, e che coinvolse nella più spettacolare delle sue avventure didattiche. Prendendo spunto dalle mostre matematiche che Paul Libois organizzava nell’Università di Bruxelles, influenzato dalle pratiche dell’Ecole Decroly, alla fine degli anni Sessanta Emma propose a un gruppo di allievi di Lombardo Radice dell’ultimo anno di Università, di accompagnarla nelle sue sperimentazioni.

Con la loro collaborazione organizzò, con i 171 allievi delle sue 6 classi, una imponente mostra matematica che raccoglieva tutte le invenzioni didattiche scoperte insieme ai suoi allievi in anni di lavoro, in cui formule matematiche e figure geometriche si intrecciavano con l’arte, l’architettura, l’indagine sociale e l’osservazione della realtà. L’impresa fu così coinvolgente che molti degli studenti che si giovarono di quel particolarissimo tirocinio sono restati suoi amici per tutta la vita, mentre i ragazzi coinvolti non hanno mai dimenticato quella straordinaria avventura.

Il gusto per l’azzardo speculativo, la gioia del conoscere e il desiderio di andare fino in fondo alle cose, credo ci derivassero dal fatto che lei, ogni giorno, trovava il modo di farci fare delle scoperte. Nei lavori, che spesso svolgevamo in gruppo, lei proponeva un corpo a corpo con gli oggetti matematici sorprendente e vitale, che ci educava a pensare con grande libertà. Ricordo ancora che, a 11 anni, tornavo a casa di corsa ansioso di leggere le pagine del suo libro, per cercare di intuire in anticipo dove ci avrebbe portato, scoprendo poi, in verità, che in classe c’era sempre altro da scoprire.

Nel suo fare scuola applicava il principio elementare secondo cui, se si vogliono mettere in movimento le menti dei ragazzi, bisogna muoversi nello spazio e proporre attività che stimolino la ricerca. E infatti, nell’osservare colleghi, accademici e conferenzieri, aveva un modo tutto suo di giudicarli: se si sedevano per lei era finita: voleva dire che non tenevano abbastanza all’attenzione desta dei loro interlocutori.
Si, perché la questione dell’attenzione per Emma Castelnuovo era fondamentale, così come era cruciale la questione dello sguardo.
La geometria è vedere con gli occhi della mente. Ma poiché, secondo lei, la mente è meno democratica delle mani, per dare la possibilità a tutti di fare scoperte inventò mille modi in cui insegnare la matematica con materiali semplici come spaghi, elastici e barrette di ferro, dando la possibilità di arrivare a comprendere i concetti più difficili a chi aveva più difficoltà a misurarsi con l’astrazione. Quelle costruzioni, tuttavia, si riempivano di senso perché lei ci insegnava, giorno dopo giorno, ad imparare a guardare con pazienza e ad accorgerci delle trasformazioni che continuamente circondano la nostra vita, dal ritmo delle foglie che nascono sui ramoscelli a primavera alle cento diverse forme di ellissi che disegna a terra l’ombra del cerchio di un segnale stradale esposto al sole.

Oggi gli insegnanti più accorti sanno bene che il corpo in movimento, lo sguardo aperto e l’uso di materiali aiutano enormemente l’acquisizione di conoscenze matematiche, ma negli anni Cinquanta tutto ciò era solo all’inizio, se si escludono alcune intuizioni di Decroly, della Montessori e, prima, di Friedrich Fröbel.
E’ solo nel 1957, infatti, che si tenne a Madrid il primo congresso internazionale di didattica della matematica interamente dedicato all’uso dei materiali nell’insegnamento.

LA PROPOSTA DEI MATERIALI PER RENDERE LA MATEMATICA ACCESSIBILE A TUTTI

Emma si ribellò alle assurdità di metodi e programmi della scuola appena cominciò ad insegnare. Dopo appena quattro anni di lavoro nella scuola media, infatti, si armò di coraggio e scrisse “La geometria intuitiva”, un libro che rovesciò la didattica della matematica come un calzino. La presentazione della disciplina non partiva più dai postulati e dalle definizioni categoriche e astratte di punti, linee e figure, ma dall’osservazione della realtà e da una geometria che Emma Castelnuovo ebbe la geniale idea di presentare sempre in movimento.

Quel libro pazzesco, come lo definì in vecchiaia, la portò ad essere invitata a far parte, dal 1951, della CIAEM (Commissione Internazionale per lo Studio e il Miglioramento degli Insegnamenti Matematici), una commissione fondata da Choquet, Piaget e Gattengo, un matematico, uno psicologo e un pedagogista.
Il primo incontro con Jean Piaget lo raccontava spesso, con l’ironia che la contraddistingueva. Curiosa viaggiatrice per il mondo e sempre alla ricerca di nuove idee, al ritorno da uno dei congressi internazionali a cui partecipava, la giovane Emma decise di sostare a Ginevra, per cercare di incontrare Jean Piaget, che in quegli anni conduceva le sue ricerche sullo sviluppo del pensiero nel bambino. “Parlagli degli angoli e ti riceverà senz’altro”, le suggerì la sua assistente al telefono. E infatti, la mattina dopo, si ritrovò con il grande psicologo svizzero a parlare di angoli, che per i ragazzi non sono così facili da comprendere, perché “contengono l’infinito”.

Ricordare questo episodio è importante perché ciò che ha avuto a cuore Emma per tutta la vita era rendere accessibile a tutti un sapere che ci fa più liberi, perché maggiormente consapevoli e capaci di interpretare il mondo in cui viviamo.
Nei cartelloni delle sue esposizioni matematiche, infatti, ci portava ad affrontare i problemi posti dai concimi chimici insieme alla questione della fame nel mondo, perché era l’attenzione alla società e il suo evolversi ciò che metteva al centro del suo insegnamento. Con lei la matematica tornava ad essere, come per i contadini dell’antico Egitto che avevano il problema di misurare le terre dopo la piena del Nilo, un linguaggio e una modalità di pensiero utile a risolvere problemi concreti. E tuttavia, poiché di quel linguaggio conosceva a fondo la profondità e la bellezza delle sue architetture, ci invitava al tempo stesso a giocare il gioco del rintracciare le corrispondenze più inaspettate, rinnovando in noi la gioia infantile di scoprire regole e ritmi che legano i numeri alla natura, conducendoci verso scoperte via via sempre più complesse.

Se devo restituire l’immagine che per più di ogni altra mi resta del legame inscindibile tra matematica e realtà, mi torna alla memoria l’esperimento dei due vetri appiccicati tra loro, uniti strettamente da un lato e separati dalla punta di uno stuzzicadenti dall’altro. Immergendoli in una bacinella d’acqua colorata ecco che magicamente appare la curva di un’iperbole liquida, che racconta la relazione inversa tra il diametro dei capillari e la spinta verso l’alto del liquido. In quell’immagine c’è molto di ciò che ci insegnava Emma: la bellezza di una forma perfetta che racconta una scoperta scientifica che ci avvicina e ci fa intendere qualcosa del funzionamento delle piante, così essenziali alla nostra vita.

Emma aveva l’idea che è sempre dal concreto che si genera anche la più ardita delle astrazioni, e le piaceva ricordarci che la prospettiva fu compresa dai pittori con due secoli d’anticipo sui matematici, per il semplice motivo che loro ne avevano bisogno per dipingere.

PER UNA MATEMATICA DEMOCRATICA IN OGNI PARTE DEL MONDO

Negli ultimi anni seguiva con grande attenzione le trasformazioni che stava subendo la scuola con l’arrivo di tante bambine e bambini stranieri, sostenendo che un insegnamento vivo della matematica poteva essere un ottimo strumento per imparare bene l’italiano, perché si usa un linguaggio semplice, fatto di poche parole, e perché ci insegna ad essere precisi e a dare peso alle nostre affermazioni, mettendo particolare cura del linguaggio. “E questo credo possa far bene anche agli italiani – aggiungeva sorridendo – che oggi, ad ogni età, non sanno più scrivere due parole in croce.”

Ricordo ancora la sua felicità il giorno che, in seconda media, ci diede da fare un tema di matematica e a un mio compagno, che prendeva spesso insufficienze in Italiano, diede 10. Rintracciò nel suo testo, infatti, un’ottima capacità di argomentazione e di sintesi e, riflettendo anni dopo su quell’episodio, sosteneva che forse quel ragazzo, nella materia Italiano, non aveva mai trovato stimoli sufficienti che gli dessero la possibilità di scrivere come sapeva fare.

Da quando ho cominciato ad insegnare ho sempre frequentato Emma con continuità, godendo degli stimoli inesauribili che sapeva trasmettere. Se vai in un museo, visiti una città o affronti un tema sconosciuto, la questione sta tutta nella qualità delle domande che ti poni. Ogni tanto mi capita di incontrare altri ex allievi di Emma Castelnuovo e i nostri ricordi ci portano sempre a concordare su un punto: Emma ci insegnato a pensare. Ma cosa vuol dire, concretamente?

Ho già detto che Emma la geometria, prima ancora di studiarla, ce la faceva toccare con le mani. Ma poi i ragionamenti che ne traeva non si fermavano certo lì. Articolando tra le dita uno spago, ad esempio, ci domandava se i diversi rettangoli di uguale perimetro che venivamo creando, avessero anche la stessa area. Ed è così che arrivavano tra noi due concetti chiave del suo insegnamento: il caso limite e il ragionare per assurdo. Se infatti allungo la base accorciando i lati dell’altezza fino ad arrivare a zero, avrò un rettangolo di area zero. Ed è proprio questo “non rettangolo”, a cui sono arrivato, che mi aiuta a capire le trasformazioni delle aree nei rettangoli isoperimetrici.

Ragionare per assurdo porta dunque a risultati concreti. Del resto, non è in qualche modo ragionando per assurdo che Gandhi immaginò di sconfiggere l’impero britannico con la non violenza e Mandela di costruire una nazione facendo pace con i suoi ex aguzzini? La matematica è molto più vicina a noi di quanto si creda, anche come possibilità di concepire una logica capace di immaginare ciò che non è ancora visibile.
Una volta andata in pensione Emma Castelnuovo fu chiamata dall’UNESCO a formare dei docenti in Niger. Ribaltando le consuetudini della cooperazione, invece di lavorare con docenti e dirigenti, Emma chiese di poter operare direttamente in classe. In cinque settimane di intensissimo lavoro organizzò un’esposizione in cui i ragazzi africani erano protagonisti. La sua battaglia contro la matematica “presentata in modo così astratto da schiacciare le intelligenze” aveva portato quei ragazzi ad insegnare ai loro docenti un modo di imparare che nasce dalla fiducia nella propria intelligenza, di cui tutti hanno diritto.

Compiuti i novant’anni si è dedicata a una nuova edizione de “La matematica”, sei magnifici volumi per la scuola media che, pur disponibili nel catalogo della Nuova Italia, sono boicottati dagli editori e non sono portati da nessun rappresentante nelle scuole. Se conoscete qualche insegnante di matematica regalateglieli per favore, perché costituiscono uno straordinario strumento culturale per liberare la matematica dall’ottusità con cui troppe volte viene insegnata nella scuola.

Articolo pubblicato dalla rivista “Gli Asini” nel 2013, in occasione dei 100 anni di Emma

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