Abbiamo per la prima volta nitida, davanti ai nostri occhi, l’immagine di un’ombra che campeggia al centro di un buco nero distante 27.000 anni luce dalla Terra. La straordinaria evidenza scientifica offerta da questa fotografia, che testimonia la veridicità delle intuizioni sulla relatività generale di Albert Einstein, è stata realizzata con uno sforzo umano e tecnologico fortemente innovativo durato oltre vent’anni. Astrofisici di diversi paesi del mondo hanno infatti trasformato la Terra nella più grande macchina fotografica mai concepita. Undici radiotelescopi situati in diverse latitudini e longitudini, sincronizzando perfettamente i loro orologi atomici, hanno potuto fissare e comporre in una unica immagine il buco nero Sagittarius A, che si trova al centro della nostra galassia.
“Sfruttando la rotazione del nostro pianeta si può creare infatti un gigantesco radiotelesopio di dimensioni pari a quelle della Terra e, quanto più è grande il disco del radiotelescopio, tanto maggiore è la nitidezza e il contrasto dell’immagine”, afferma Mariafelicia De Laurentis, una delle scienziate del nostro paese che ha contribuito a questa scoperta.
Nelle stesse settimane ci troviamo di fronte ai due estremi dell’umano. Da una parte la meraviglia di una ricerca scientifica capace di unire intelligenze delle più diverse culture nel desiderio di varcare i confini della conoscenza; dall’altra i disgraziatissimi abitanti delle regioni orientali dell’Ucraina che per il fatto di parlare due lingue diverse, sono imprigionati nell’idea che non sia possibile convivere pacificamente nella stessa regione se si parlano lingue differenti. Russofoni e ucrainofoni, che lo sviluppo industriale e complesse vicende storiche hanno portato a convivere negli stessi territori, d’un tratto sono portati a pensare che non sia possibile alcuna convivenza, spinti da “mitologie inculcate nella coscienza delle persone”, secondo le parole di Svetlana Alksandrovna, raccoglitrice attenta di testimonianze orali di quelle terre, figlia di padre bielorusso, madre ucraina e amante della grande cultura russa.
Intrecciando sguardi diversi si può arrivare a considerare il nostro pianeta una grande casa comune, con tante finestre da cui affacciarsi per guardare lontano e fotografare segreti che illuminano l’origine del cosmo e della vita.
Restringendo il proprio sguardo nell’angustia di un’unica lingua da contrapporre a quella del vicino si scivola tragicamente verso la guerra, che in questi mesi ha la forma dell’invasione armata, dei bombardamenti e delle stragi volute da Putin, ma è stata lungamente preparata da anni contrapposizioni culturali e conflitti locali animati ad arte da poteri criminali.
Non ci potrebbe essere metafora più nitida per descrivere i due estremi dell’umano che abitano la terra.
Articolo uscito su Comune.info