Il Ministro Valditara dichiara guerra agli attuali contenuti di insegnamento della scuola di base

di Franco Lorenzoni

13 giugno 2024

 

Storia di una buona legge che il ministro vuole riscrivere

Giuseppe Valditara, ministro leghista dell’Istruzione e del merito, ha deciso si sferrare un attacco frontale alle “Indicazioni nazionali per il curricolo https://www.miur.gov.it/documents/20182/51310/DM+254_2012.pdf che sono la legge dello stato che dal 2012 delinea obiettivi e finalità dell’istruzione rivolta ad allieve e allievi dai 3 ai 15 anni.

Nei suoi recenti interventi il Ministro, oltre a prendersela con i dinosauri, ha usato un’espressione che colpisce, sostenendo che nelle Indicazioni nazionali c’è “un po’ troppa roba”.

Dobbiamo prestare attenzione alle sue mosse perché ciò che interessa smontare a Valditara riguarda l’orizzonte di senso dentro cui si muove quella legge, elaborata in oltre dieci anni di confronti e ricerche che hanno coinvolto centinaia di docenti, ricercatori ed esperti.

Nelle Indicazioni si auspica una “elaborazione dei saperi necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, (…) premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e planetaria”. Si sottolinea inoltre come “l’incontro fra culture diverse abbia saputo generare l’idea di un essere umano integrale”.

Tanta roba, certo, orientata tuttavia dall’idea di una possibile formazione di esseri umani planetari, mutuata da alcuni testi del filosofo francese Edgar Morin.

Per rivedere quel testo e affossare ogni concezione universalistica della conoscenza, a coordinare la commissione di otto pedagogiste e pedagogisti che dovrebbero riscrivere le Indicazioni nazionali il Ministro ha chiamato Loredana Perla, professoressa di pedagogia speciale all’Università di Bari, che probabilmente è stata scelta per un incarico di così grande responsabilità per avere appena scritto, insieme a Ernesto Galli della Loggia, il libro “Insegnare l’Italia”, che si presenta come “Una proposta per la scuola dell’obbligo”.

Galli della Loggia in quel testo non va per il sottile e chiama coloro “che hanno redatto i programmi attualmente in vigore, gruppo di scervellati che non ha la minima idea della realtà”.

Anche Loredana Perla non scherza nel lanciare la sua battaglia culturale purificatrice, tanto che conclude il libro con una affermazione tranchant: “Non c’è più spazio per le indulgenze di un mondo di adulti che negli ultimi sessant’anni ha sbagliato tutto. Un mondo di adulti il quale dovrebbe capire che forse è giunta l’ora di cambiare rotta”.

Esseri umani planetari o italiani veri?

Nei capitoli scritti dalla professoressa Perla si sostiene che è necessario “costruire un percorso pedagogico decisamente diverso”. E dunque, per dirla in modo schematico, si tratta di scegliere se nella scuola ci si debba proporre di lavorare alla formazione di donne e uomini planetari o insegnare a essere italiani veri. La contrapposizione potrebbe apparire astratta o puramente ideologica, ma delinea una concezione della scuola ben precisa.

L’idea che sta a cuore ai due autori, e che a loro avviso dovrebbe informare tutta la didattica, sta nella proposta di una piena immersione, fin dai tre anni, nell’identità italiana.

“Percepirsi italiano è per un bambino anzitutto un sentire che nasce dall’esperienza. E’ cominciare a collocarsi psicologicamente in un punto preciso del mondo e da quel punto di vista iniziare a sporgere lo sguardo sull’altro, sul ‘resto’ geografico del pianeta. Questo ‘punto di vista’ è psicologico perché nasce, anzitutto, dai vissuti personali”.

Si tratta di “costruire un percorso pedagogico sulla base di un presupposto decisamente diverso da quello che ha informato le indicazioni ministeriali per il curricolo. Cioè sul presupposto che in realtà la rinuncia all’asse formativo dell’identità italiana, avvenuta in omaggio alle letture globaliste e multiculturali, ha creato un vulnus psicopedagogico nelle giovani generazioni”.

Avendo insegnato per 40 anni alle elementari, ho constato in più occasioni che è proprio il mondo che talvolta ci permette di avvicinare la nostra storia e il nostro passato. Per sette anni, ad esempio, nella scuola primaria di Giove intrattenemmo una corrispondenza con classi indigene maya del Guatemala. Ed è osservando i disegni che provenivano da quel lontano altopiano e incontrando maestre e maestri del centroamerica, ospiti tra noi ogni anno, che a bambine e bambini vennero curiosità e domande sul mondo contadino, altrimenti percepito come lontano anche se prossimo a loro.

Anni prima, osservando un magnifico libro dedicato ai giocattoli africani cominciarono a costruire con le loro mani carretti con lattine riciclate e bambole con ciuffi d’erba. Guardandoli armeggiare con fili di ferro, pinze, spaghi e chiodi, alcune loro nonne e nonni esclamarono: Questi non sono giocattoli africani. Sono i giocattoli con cui giocavamo noi prima della guerra, quando nelle campagne umbre non arrivava ancora la luce elettrica.

Il progetto di riformare la scuola partendo dal libro Cuore

A detta di Loredana Perla, invece, per superare il vulnus globalista c’è una strada già tracciata. Basta rimettere al centro di tutti i processi di apprendimento l’identità italiana, esemplificata da una rilettura del più noto romanzo di De Amicis: il libro Cuore.

“Cuore va riletto. Perché crollate tutte le ideologie i suoi contenuti possono aiutare a riscoprire i valori essenziali di cittadinanza (lealtà, generosità, responsabilità) e testimoniarli con buoni esempi agli occhi di chi nasce oggi. (…) Così può accadere che, nel terzo millennio, con la scuola in piena crisi d’autorevolezza e una generazione che fatica a comprendere e a far suo il senso del limite, Cuore, paradossalmente, riemerga all’attenzione di pedagogisti e non solo, come carica anticonformista che fa dimenticare l’Elogio di Franti. E che rende quest’ultimo obsoleto cimelio di una stagione che ha lasciato in eredità ai suoi posteri mille e una mela avvelenata”.

Per rendere l’identità italiana un “concetto ordinatore” è importante, per la Perla, indicare dei nemici seguendo l’uso dell’attuale destra di governo. Ecco che allora il caustico, esilarante e motivato Elogio di Franti, scritto da Umberto Eco nel suo Diario minimo del 1963, viene additato come testo diabolico, precursore di tutte le nefandezze portate dal sessantotto.

“C’è una seconda ragione – secondo la professoressa – che rende Cuore un libro profondamente anticonformista: la sua proposta di un modello di educazione nazionale di rara chiarezza: “La classe è l’Italia fisica, gli alunni sono gli italiani, il maestro è l’italianità”.

Così tutto diventa straordinariamente semplice e coerente. “Per affrontare il desiderio di stabilità di uno straniero che sceglie di vivere in Italia”, – sostiene ad esempio la pedagogista – basta “convincerlo che la maniera migliore di farlo è decidere di diventare italiano. Decidere di far diventare italiani i sui figli”.

Un lungo lavoro di elaborazione collettiva

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di ricostruire la genesi del testo che Valditare vuole smantellare.

Quando Tullio De Mauro, Ministro della Pubblica Istruzione per pochi mesi, nel giugno del 2000 chiamò a raccolta una commissione di 240 ricercatori ed esperti per “definire i criteri generali di riorganizzazione dei curricoli”, nel suo intervento (https://www.sissco.it/intervento-del-ministro-tullio-de-mauro-in-occasione-della-prima-riunione-plenaria-1364/) tracciò un quadro storico e geografico della scuola. Mostrò in quella sua relazione come alla fine degli anni ‘50 (prima che gli adulti sbagliassero tutto, secondo la Perla) oltre la metà degli italiani non avevano alcun titolo di studio, mentre alla fine del secolo si era finalmente passati da una media di 3 anni trascorsi nella scuola dagli italiani a una media di 9 anni.

Indicando poi i criteri di composizione della commissione, aggiunse: “Ci sono “saggi”, cioè esperti di livello universitario nelle varie discipline, ci sono rappresentanti delle associazioni degli studenti e delle famiglie, delle associazioni disciplinari, c’è una rappresentanza non esigua degli ispettori del ministero, e degli insegnanti della scuola che possono garantirci il concreto collegamento alla realtà delle scuole. Ci sono gli editori e i rappresentanti delle massime istituzioni culturali del nostro paese”. Ed ha concluso dicendo: “questa non è una raccolta di yes men, ma una raccolta di spiriti liberi, che potranno esprimere anche progetti alternativi pur nel rispetto della legge. E’ con questo spirito che la commissione è stata composta e spero lavori”. Una indicazione di metodo che probabilmente Valditara ignora, ma sulla quale dovrebbe meditare.

“E’ dal lavoro di quella commissione che prende l’avvio la scrittura delle Indicazioni nazionali” – afferma oggi Italo Fiorin – a cui chiedo di ricostruire la genesi del documento che Valditara , Perla e Galli della Loggia si apprestano a disarticolare.

Il professor Fiorin, tra i principali esperti di service learning, fu chiamato a coordinare insieme a Mauro Ceruti, filosofo della complessità, un folto gruppo di esperti di ogni disciplina, chiamati dal Ministro Fioroni a redigere la prima versione provvisoria delle Indicazioni nazionali, presentata in forma sperimentale alle scuole nel 2007.

“Siamo partiti dalla constatazione, con Bauman, che viviamo in una società liquida e che dunque ogni cambiamento deve misurarsi con l’inedito – prosegue Italo Fiorin – . Abbiamo ragionato partendo dai testi di Edgard Morin guidati da Mauro Ceruti e dalle sue ricerche sulla complessità, constatando che le discipline debbano evitare la frammentazione e costituire piuttosto delle chiavi di interpretazione di un mondo in continuo e rapido mutamento.

L’insegnamento trasmissivo, che presenta dei contenuti invariabili pensati per alunni medi, non è più proponibile. Non esistono infatti ‘alunni medi’ e noi dobbiamo sempre partire dai bisogni e dalle esigenze di studentesse e studenti, partire dal loro volto. Lettera a una professoressa inizia con la frase di un ragazzo escluso dalla scuola che scrive: “Lei non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti…”.

La grande tradizione pedagogica del nostro paese si fonda su un apprendimento attivo, esplorativo, e sul considerare la scuola come un centro di ricerca che si confronta con elementi sfidanti. E’ così che prende forma la cittadinanza attiva e un’educazione alla pacifica convivenza, perché la società bisogna costruirla continuamente assieme e la democrazia si apprende praticando la democrazia, come ci ha insegnato Dewey. Se dovessi dirlo in estrema sintesi, le quattro parole che hanno orientato la stesura delle Indicazioni sono: persona, cittadinanza, comunità e mondo.

A darci manforte in questa scrittura molto articolata abbiamo potuto contare sull’apporto di linguisti del calibro di De Mauro e Sabatini o del geografo De Vecchis, solo per fare qualche nome”.

Il metodo delle indicazioni e la necessità di una continua manutenzione di ogni riforma che voglia realmente innovare

C’è una considerazione di metodo che vale la pena sottolineare.

Le Indicazioni nazionali sono divenute legge dello stato nel novembre del 2012, grazie al grande impegno a elaborarne una versione compiuta di Marco Rossi Doria, unico maestro elementare chiamato alla funzione di sottosegretario al Ministero dell’Istruzione.

Rossi Doria ebbe l’accortezza di convincere l’allora Ministro Profumo di nominare un Comitato che monitorasse e accompagnasse l’atterraggio di quella legge nelle scuole.

Galli della Loggia sbaglia a ironizzare sulla parola Indicazioni, che lui chiama “programmi, per scrivere come si parla”. Sbaglia perché “tra i vecchi Programmi e le nuove Indicazioni c’è una differenza fondamentale – sottolinea Marco Rossi Doria -. Le Indicazioni elencano sì obiettivi e traguardi di competenza che sono prescrittivi, ma stimola le scuole a cercare in modo autonomo le strade per giungervi. I curricoli, infatti, debbono essere elaborati dai gruppi di docenti che operano in realtà differenti, per rispondere ai bisogni educativi di quei luoghi nei modi più coerenti ed efficaci e far sì che nessuno resti indietro”.

Per animare e coordinare una formazione che accompagnasse questo complesso processo di trasformazione della didattica fu dunque nominato un Comitato scientifico nazionale, che aveva il compito di accompagnare le Indicazioni e se necessario integrarle e trasformarle, come avvenne nel 2017 con il documento “Nuovi scenari” (https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Indicazioni+nazionali+e+nuovi+scenari/), considerandole come un cantiere aperto.

Ho fatto parte di quel Comitato, coordinato da Italo Fiorin, nei sei anni in cui ha lavorato e ricercato sopravvivendo ai molteplici cambi di ministri e forse non sono obiettivo. Ma devo dire che quando nelle diverse regioni si sono create, per autonoma scelta, oltre 400 reti di scuole, non sono stati pochi i percorsi di formazione e trasformazione efficaci, specie quelli ideati e condotti dal basso, valorizzando le sperimentazioni in atto.

Nei sei incontri nazionali che abbiamo promosso centinaia di scuole hanno avuto l’occasione di condividere le loro esperienze ed era molto istruttivo vedere in quanti modi diversi si poteva affrontare la sfida didattica di rinnovare giorno dopo giorno una scuola che cerca di essere davvero inclusiva, cioè capace di non lasciare indietro né perdere nessuno.

Pensare a una legge come a una ballata popolare

Il compianto Giancarlo Cerini, uno dei migliori ispettori che abbia avuto la nostra scuola, nel redigere la lettera che accompagnava la pubblicazione delle Indicazioni, firmata dal ministro Profumo, parlava di “un coinvolgimento attivo e diffuso di tutte le comunità scolastiche nel quale torni a prevalere il gusto della ricerca e dell’innovazione metodologica, della sfida dell’apprendimento permanente per allievi e insegnanti”.

Cerini, che da buon romagnolo sapeva intrecciare grandi visioni a un riformismo radicale e costruttivo, sosteneva che una legge riformatrice, per essere efficace, deve somigliare a una ballata popolare, in cui tutti sentano che possono mettersi in gioco e contribuire a trasformare la piccola parte di mondo in cui operano.

Conoscerlo e collaborare con lui, e con le altre e gli altri componenti di quel Comitato mentre insegnavo, mi ha fatto scoprire quanto sia difficile promuovere riforme in una istituzione come la scuola, partendo dall’alto. Non bastano nuove Indicazioni e una buona legge per trasformare contenuti e metodi della scuola. Ogni riforma, infatti, risulta efficace e prende corpo solo se è in grado di colloquiare, recepire e diffondere le migliori spinte e sperimentazioni che provengono dal basso.

E tuttavia, anche se i documenti ministeriali da soli non cambiano la scuola, possono influenzare il contesto e il clima culturale in cui opera chi insegna. E se le nostre scuole sono state, pur tra luci e ombre, l’istituzione pubblica dove maggiore è stato l’impegno ad accogliere bambine e bambini immigrati ancora privi di cittadinanza, questo lo si deve anche ad elaborazioni culturali e documenti che hanno accompagnato e sostenuto l’impegno quotidiano delle e degli insegnanti più attivi e persuasi, che non sono pochi nel nostro paese.

Qualche settimana fa nella scuola Italo Svevo di Trieste, in seguito a un proclama degli assessori alla sicurezza e all’istruzione della regione Friuli Venezia Giulia, è stato impedito a un migrante di partecipare a un incontro organizzato dalla scuola, perché lo si riteneva “politicamente orientato” e si riteneva controproducente che alle ragazze e ragazzi venisse offerta una «visione univoca» su «un tema estremamente complesso come l’immigrazione irregolare».

Osserviamo con molta attenzione le prossime mosse di chi pensa che da sessanta anni abbiamo sbagliato tutto e che è necessario trasformare la scuola rifondandola sul “versatile asse” della identità italiana.

E’ improbabile che il Ministro Valditara e la professoressa Perla riescano a soffocare l’idea di educazione aperta contenuta nelle Indicazioni vigenti e nella pratica quotidiana di migliaia di insegnanti, ma molte sono le intimidazioni che attendono coloro che credono in una scuola della Costituzione capace di allargare i nostri confini.

Articolo pubblicato il 4 giugno 2024 su “Internazionale.it”

https://www.internazionale.it/opinione/franco-lorenzoni-2/2024/06/04/valditara-indicazioni-nazionali-curricolo

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