IL BAMBINO CHE IMITA LA PIOGGIA TAMBURELLANDO LE DITA DISTURBA O PROPONE?
Piove a Piadena il 2 ottobre del 1964.
Capita così che le tradizionali presentazioni reciproche del primo giorno di scuola vengano interrotte da un fragoroso temporale. Ecco che allora, “di fronte alla natura che si scatena, i bambini si presentano un’altra volta: chi ha paura del tuono che brontola sopra di noi, chi invece ride, chi indica le nuvole basse che sembrano sfiorare la bandierina del campanile, chi schiaccia il naso contro il vetro, incantato dalla musica dell’acqua, il volto incorniciato in un’aureola di vapore alitato sulla fredda lastra. Ora una realtà oggettiva prende tutti e risuona dentro in modi differenti, (…) affiorano alla memoria esperienze e ricordi, la conversazione si fa tumultuosa e ricca di spunti, e io l’ascolto”.
Siamo solo alla seconda pagina del diario che avete in mano e Mario Lodi ha già rivelato un primo importante segreto del suo fare scuola: dare spazio alle parole di bambine e bambini e ascoltare con attenzione le conversazioni che sorgono intorno a ogni cosa.
Passa poco più di un’ora e arriva un altro dettaglio rivelatore. I bambini hanno osservato, disegnato e narrato ciò che ciascuno ha colto della pioggia, quando “Fabio alza lo sguardo al finestrone, martella col dito sul tavolino e dice: – La pioggia fa tic tic tic, così -. E tamburella, disturbando. Altri lo imitano…”
Fermiamoci un momento. Il maestro annota che col suo ticchettare Fabio sta disturbando, ma non lo contrasta, non si oppone. Accetta che altri compagni lo imitino e non interrompe quell’improvvisazione. Coglie piuttosto le potenzialità del suo impulso ritmico che devia dal percorso previsto.
“Quel rumore assomiglia proprio a quello della pioggia che cade, qualche volta leggera, qualche volta scrosciante. Proviamo a battere leggermente i polpastrelli sui banchi, e la pioggerella si fa minuta minuta. Poco dopo ecco l’acquazzone che rimbomba, ottenuto percuotendo le nocche. Il giochetto piace perché l’effetto è veramente suggestivo, tanto che lo scroscio esterno si confonde col rumore della nostra pioggia”.
Siamo a pagina 7 del nostro diario ed ecco un altro segreto che si rivela. Mario Lodi propone e guida le attività, ma se un bambino devia dalla strada prevista, il maestro è pronto e aperto a nuove possibilità e dà respiro senza remore a a quell’intuizione. Ora tutta la classe segue il suo tamburellare e Fabio ha rivelato di essere maestro di pioggia suonata con le dita.
Tra Mario e Fabio c’è stato uno scambio di ruoli. Il bambino è diventato momentaneamente maestro e il maestro ha ritrovato in sé il bambino che si diverte a giocare a suonare con nocche e polpastrelli.
Questa prontezza a cogliere al volo la proposta di un alunno mi viene da chiamarla “competenza jazz”, un’attitudine e capacità che tutti noi insegnanti dovremmo cercare di coltivare, perché non c’è relazione educativa viva senza reciprocità.
Reciproco è una parola che viene dal latino ed evoca due movimenti. Recus nomina l’andare indietro, procus l’andare avanti. Prima c’è l’andare indietro, il fare spazio, il porsi in ascolto, poi l’andare avanti per incontrarsi e giocare e imparare insieme. Fabio e Mario possono suonare in due la pioggia perché si sono ascoltati e accordati.
Non c’è mimesi con la natura che non appassioni l’infanzia e ora tutte le bambine e bambini della classe partecipano attivamente al piccolo concerto piovoso.
Ma a improvvisare non si improvvisa. E infatti la scelta del maestro di Piadena ha una lunga storia alle spalle
Prima di tornare indietro nel tempo, fermiamoci tuttavia ancora un momento su ciò che è accaduto in questa prima mattina, narrata nel capitolo intitolato un giorno come un seme.
Bambine e bambini hanno osservato e dipinto, inventato una storia e drammatizzato, hanno disegnato la parola pioggia, si sono ascoltati e hanno cantato. Ma il seme più fecondo sta nell’aver potuto cogliere nel temporale la possibilità di dire qualcosa di sé, specchiandosi in ciò che è altro da noi.
E per dare valore e dignità a tutti i pensieri che nascono, ecco l’ultima sorpresa della giornata. Il maestro presenta il limografo, “che se gli dai un disegno te ne fa tanti uguali”. Compaiono così i primi fogli stampati di un giornalino che accompagnerà la vita della classe per tutti e cinque gli anni.
Nel metodo che Mario Lodi andò affinando dalla metà degli anni Cinquanta con altre compagne e compagni del Movimento di Cooperazione Educativa, infatti, la documentazione di ciò che si va facendo in classe ha un valore cruciale, perché quello strumento tipografico artigianale, ispirato alle intuizioni pedagogiche di Celestin Freinet, permette a bambine e bambini di stampare i loro disegni e i loro primi testi, dando così valore e significato a ciò che stanno scoprendo e sperimentando insieme, ciascuno a suo modo.
Questo scritto è tratto dall’introduzione alla nuova edizione de “Il paese sbagliato” ripubblicato da Einaudi in occasione del centenario della nascita di Mario Lodi