Il 12 agosto a New York è stato gravemente ferito Salman Ruschdie.
Salman Ruschdie, oltre a essere il grande autore de “I figli della mezzanotte”, è un intellettuale di straordinario coraggio e lungimiranza, che affronta da decenni con radicalità e persuasione alcune questioni chiave del nostro tempo.
In questo momento così triste mi piace ricordare la sua testimonianza attiva e incessante contro ogni intolleranza, riportando quanto scriveva in una raccolta preziosa di suoi articoli e interventi, intitolata “Patrie immaginarie” a proposito de “I versi satanici”, il libro che gli è costato la condanna a morte da parte di Khomeini.
“Molti sono dell’idea che mischiarsi con una cultura diversa rovini la propria; io sostengo il contrario. “Versi satanici” celebra l’ibrido, la commistione, la trasformazione che deriva da nuove inattese combinazioni e teme l’assoluto del puro. Mélange, guazzabuglio, un po’ di questo un po’ di quello è il modo in cui il nuovo entra nel mondo. E’ la grande possibilità che l’immigrazione di massa concede al mondo e io ho cercato di farla mia. (…) È un canto d’amore rivolto ai nostri sé imbastarditi. Per tutto il corso della storia umana gli apostoli della purezza – coloro che hanno sempre affermato di possedere una spiegazione completa – hanno seminato rovina tra esseri umani che s’erano semplicemente mescolati. (…) Sperimentare una qualsiasi forma di emigrazione significa ricevere una lezione sull’importanza di tollerare il punto di vista degli altri. Si potrebbe quasi dire che l’emigrazione dovrebbe costituire l’allenamento per tutti gli aspiranti democratici.”